25 Aprile 2022
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Sete di conoscere

Quando ero in seminario venivano dei preti a far conferenze. Ci parlavano delle difficoltà di avvicinare gli operai e i contadini. Proponevano gli uni di andarli a cercare nei campi e nelle officine, magari travestiti. Altri proponevano le attività sportive e le associazioni. Altri parlavano dei cappellani di fabbrica. Mi vien da sorridere a pensarci. Ci si dava tanto pena per delle cose da nulla.

Perché dovrei fare tanta fatica a andare a cercarli se san loro che vengono a cercare me? Quando ho bisogno di dir qualcosa agli operai e ai contadini del mio popolo non ho che da aprir bocca. Alzano il capo dai loro quaderni e mi ascoltano. Non saranno capi famiglia ancora, ma fa lo stesso perché i loro babbi li venerano ora che li han visti istruirsi, condurre una vita severa, farsi strada nel mondo.

Parlare a loro non è come mettere un altoparlante sul campanile, è piuttosto come averci un filo di comunicazione diretta col centro del cuore dei loro babbi e delle loro mamme.

Ma non solo mi ascoltano, mi intendono anche e mi credono. Mi intendono per forza perché tutto il loro bagaglio di cognizioni, di vocaboli, di immagini, di associazioni di idee, di tecnica dialettica, glie l’ho costruito io, con le mie mani, sera per sera, lungo anni. Una parola nel vuoto o destinata a creare un malinteso non la butto mai.

Primo, perché essi ora san ricchi di queste cose che qui ho elencato.

Secondo, perché le hanno in comune con me.

Terzo, perché conosco con precisione i limiti dei loro mezzi e mi ci tengo dentro.

Ma che mi ascoltino, mi intendano e mi credano non è ancora tutto se i loro interessi restassero quelli abituali. Ma non restano perché la scuola, qualunque scuola, eleva gli interessi. Risveglia dal fondo dell’anima quella naturale sete di sapere che è spesso seppellita negli infelici e che è la premessa più necessaria per il loro ritorno alla fede. È tanto difficile che uno cerchi Dio se non ha sete di conoscere.

Quando con la scuola avremo risvegliato nei nostri giovani operai e contadini quella sete sopra ogni altra sete o passione umana, portarli poi a porsi il problema religioso sarà un giochetto. Saranno simili a noi, potranno vibrare di tutto ciò che noi fa vibrare.

Ed ecco toccato il tasto più dolente: vibrare noi per cose alte. Tutto il problema si riduce qui, perché non si può dare che quel che si ha. Ma quando si ha, il dare vien da sé, senza neanche cercarlo, purché non si perda tempo. Purché si avvicini la gente su un livello da uomo, cioè a dir poco un livello di Parola e non di gioco. E non parola qualsiasi di conversazione banale, di quella che non impegna nulla di chi la dice e non serve a nulla in chi l’ascolta. Non parola come riempitivo di tempo, ma Parola scuola, parola che arricchisce.

Quando si ha idee chiare e un progetto preciso di costruire uomini capaci di affrontare vittoriosamente la lotta sociale, allora ha questa dignità perfino la parola che spiega un po’ di aritmetica. Allora la scuola è, a differenza del gioco e anche nelle materie più umili, ininterrotto comunicare pensiero. Allora accade che nel giro di 3 ore e 3 ore per sera e 100 sere per anno, ci si trova ad aver tanto comunicato e ricevuto che non c’è più misteri né di qua né di là. Il prete che fa scuola popolare sa tutto quel che ha in cuore il suo popolo e il popolo cui il prete fa scuola popolare sa tutto quel che ha in cuore il suo prete. Nudi e veri, l’uno dinanzi agli occhi dell’altro.

E se in cuore al prete c’era cose alte avrà dato cose alte e se c’erano mediocri le avrà date mediocri. E se c’era fede avrà dato fede. In sette anni di scuola popolare non ho mai giudicato che ci fosse bisogno di farci anche dottrina. E neanche mi son preoccupato di far discorsi particolarmente pii o edificanti. Ho badato solo a non dir stupidaggini, a non lasciarle dire e a non perder tempo.

Poi ho badato a edificare me stesso, a essere io come avrei voluto che diventassero loro. A aver io un pensiero impregnato di religione.

Don Lorenzo Milani