Alle origini della Parola per un lavoro al servizio dell’uomo

Dio è un lavoratore. Lo testimonia la Genesi con l’immagine del Padre che lavora sei giorni per creare il cielo, la terra, l’uomo e la donna. Adamo ed Eva, plasmati dal Creatore a sua immagine e somiglianza, ancor prima del peccato originale sono chiamati a custodire e lavorare il giardino a loro affidato. Sfogliando le pagine della Genesi appare chiaro che il lavoro sia una vocazione (chiamata) e non un castigo derivante dall’errore umano compiuto nell’Eden, poiché consente a ciascun individuo di esprimere le proprie capacità (manuali o intellettuali) e di mettere a frutto i propri talenti, in quanto è mediante la creatività che Dio chiama a partecipare alla sua opera creatrice nel mondo.

 

Il lavoro nella Bibbia passa dal concetto di schiavitù a quello di servizio: il popolo d’Israele liberato da Dio – si legge nell’Esodo – comincerà ad osservare il sabato per rendergli grazie. Quello della settimana, alternato al giusto riposo e alla festa del sabato, dunque, diventa un lavoro libero, gratuito e creativo in netto contrasto con l’alienazione subita dagli schiavi in Egitto, costretti dal faraone a lavorare senza sosta.

Come il Padre, anche il Figlio era un lavoratore. Se nella sua vita terrena viene identificato come il figlio del carpentiere (Mt 13,55), Gesù durante il ministero lavora incessantemente per realizzare grandi opere, capaci di dare speranza all’umanità e di conferire nuovamente al lavoro il ruolo di redenzione e comunione con l’opera del Creatore.

I riferimenti al lavoro nel Nuovo Testamento vengono ripresi in diverse parabole. In Matteo (20,1-16) la previsione di uno stesso salario ci ricorda che non bisogna lavorare in vista di una ricompensa ma per volontà di servizio; in Luca (13,6-9) l’immagine del contadino che aspetta il proprio frutto, rammenta che dobbiamo essere pazienti e avere cura di ciò che ci viene affidato. Cura che ritroviamo nel Buon Pastore (Gv 10,1-10), il quale per il suo gregge andrebbe incontro alla morte. Gesù, inoltre, sceglie i propri discepoli cominciando dai pescatori Andrea, Pietro, Giacomo e Giovanni, testimoniando questa attenzione al mondo del lavoro e della quotidianità, che emerge poi in tutta la predicazione attraverso l’utilizzo delle parabole relative alla vigna e ai campi.

A riportarci alle radici del lavoro, è l’episodio di Marta e Maria. “Marta, Marta…tu ti affanni e ti agiti per troppe cose”; una frase, quella di Gesù, che dovrebbe provocare ciascuno di noi, accendendo la luce su quanto il lavoro nel quotidiano rischia di renderci indaffarati, ciechi verso ciò di cui abbiamo veramente bisogno e di quella che è la nostra reale vocazione, così come nei confronti degli altri. Questa pagina del Vangelo ci invita a tornare al senso di tutto. Marta e Maria rappresentano l’incarnazione del discepolo perfetto che trova nella preghiera e nella contemplazione il nutrimento per la propria operosità.

Anche San Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi (3,10) con l’esclamazione “Chi non vuole lavorare, neppure mangi” cala nel presente un concetto basilare, ricordandoci l’importanza del lavoro dignitoso, giusto ed equo come fonte di sostentamento di noi stessi e della famiglia che il Signore ci ha affidato. Non importa che lavoro uno fa – sembra dirci San Paolo – ma l’importante è che lo faccia con umiltà, impegno e buona volontà, offrendo sempre le sue fatiche al Signore.