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Primo Mazzolari: “Il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace”

Quarto incontro online, lunedì 17 aprile, per gli Animatori Senior del Progetto Policoro, in occasione del percorso di formazione socio-politica che quest’anno ha come tema “Da ferita a feritoia- Padri e madri di pace nelle periferie del mondo”.  A guidare la riflessione sul tema “Guerra giusta, viaggio nell’insegnamento sociale della Chiesa”, don Bruno Bignami, direttore nazionale dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e lavoro. La Chiesa si è chiesta fin dai primi secoli se fosse possibile giustificare la guerra. Quanto potesse essere coerente con l’insegnamento di Gesù Cristo e del Vangelo, ricorrere alle armi e all’uccisione dell’altro. Si parte da Sant’Agostino a San Tommaso, teorizzando una idea di guerra giusta per limitare i conflitti e stabilendo come criteri che non fosse una guerra personale ma strumento per rispondere all’ingiustizia ristabilendo il bene comune, rifacendosi alla locuzione latina dello scrittore romano Vegezio “Si vis pacem, para bellum”: “Se vuoi la pace, preparati la guerra”. Nel corso dei secoli, la Chiesa ritornerà sulla discussione riconoscendo una evoluzione significativa e sottolineando che sui temi etici non sempre è riuscita ad avere una visione ampia. Arriviamo ai primi del ‘900 dove testimoni di novità come La Pira, Giordani, Mazzolari, Milani, Balducci pongono la riflessione di come una idea di guerra giusta non sia la soluzione. L’azione di trovare altri sistemi per evitare il conflitto armato, portato avanti dai papi negli ultimi decenni, affonda le sue radici nel Concilio Vaticano II e nel magistero petrino dove, prima Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in Terris e poi Paolo VI nel significativo intervento all’ONU del 1965, riaccendono la discussione nella Chiesa, con non poca fatica. Fatica affrontata da Giovanni Paolo II, che nel 1990, durante la crisi del Golfo, usa il termine “Guerra, avventura senza ritorno” e nel 1992 in occasione della crisi dei Balcani in Bosnia parla di “diritto di ingerenza umanitaria” per difendere le popolazioni innocenti ma abbandonando il concetto di guerra giusta. Su questa linea anche Benedetto XVI, stimolando l’idea di riflessione non solo cristiana ma anche laica, della responsabilità di proteggere i civili e le persone innocenti evidenziando come le guerre degli ultimi decenni hanno visto il coinvolgimento sempre maggiore delle popolazioni. Si arriva ai giorni nostri con l’invocazione di papa Francesco delle modalità per fermare l’aggressore ingiusto, sottolineando il verbo “fermare” e non rispondendo a violenza con violenza. Si chiude quindi un po’ il dibattito sulla questione della “guerra giusta” nell’enciclica Fratelli tutti, dove al capitolo VII dedicato alla pace, il papa usa il termine “artigianato di pace” invocando la responsabilità di ciascuno alla costruzione della pace. Il fulcro è l’importanza della memoria perché senza memoria non si va avanti.

Ma nella vita di tutti i giorni come è possibile essere uomini di pace, mai in pace? Quali i possibili strumenti?

Anzitutto facendo scelte consapevoli, per quanto possibile nella quotidianità, contribuendo a una pacificazione, facendo pressione perché ci sia una valorizzazione della difesa nonviolenta portata avanti tutti i giorni, formando noi stessi nei dialoghi e nelle parole, raccontando come stanno realmente le cose, soprattutto sapendole raccontare in spirito di verità. Nel dibattito pubblico, dove si tende a mettere addosso una casacca, chiedendo da che parte stare è importante invece supportare le realtà coinvolte a superare la grande sfida di come mettere da parte le armi, riscrivendo la propria storia.  Se, usando le parole di papa Francesco, riuscissimo a disarmare i cuori e ad armare le parole, sarebbe un passo da giganti.

Ilaria Perduca, diocesi di Iglesias