24 Giugno 2010
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Scuola Diocesana di formazione all’impegno sociale e politico

Venerdì 6 Marzo alle ore 18:30 si terrà presso il Santuario della MADONNA DELLO STERPETO in Barletta il decimo incontro del terzo anno di scuola Diocesana di formazione diocesana di impegno sociale e Politico: L’ARTE DI COSTRUIRE IL FUTURO (don Tonino Bello) con relatore IL Prof. Rocco Vincenzo SANTANDREA (DOCENTE Istituto Pugliese di Ricerche Economiche e Sociali – IPRES)con tema: “Il lavoro in una società che cambia”.

 
 
 
Allego la dispensa del Prof utile a chi volesse approfondire le tematiche sulle quali lavoriamo,dibattiamo e sopratutto facciamo nostre.
Per ogni altra informazione contattatemi pure.
Dario Scisco AdC TRANI-BARLETTA-BISCEGLIE
1. Lavoro e Persona
Una riflessione sui problemi del lavoro in un mondo che sta cambiando richiede necessariamente la ridefinizione di alcune coordinate di base, dei punti di riferimento che contribuiscono ad individuare dei modelli di analisi e di possibili percorsi di politiche.
Il modello di riferimento è la relazione Persona-Lavoro.
La Costituzione Italiana è chiara su questo punto: art. 1 – L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro; art.3 – E’ compito della Repubblica rimuovere ostacoli di ordine economico e sociale e per favorire la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del paese; art. 35 – La Repubblica tutela e il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori; art. 37 – La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni del lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre ed al bambino una speciale adeguata protezione; art. 36 – Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa; art. 41 – l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza , alla libertà , alla dignità umana.
Ciò che emerge dalla Costituzione Italiana è che il lavoro non è una merce, bensì una dimensione fondamentale della Persona Umana che contribuisce alla sua dignità e formazione (capitale umano), ad una dignitosa vita familiare (vita lavorativa e vita familiare), all’ampliamento degli spazi di libertà e di chance di vita, di opportunità delle persone e delle loro famiglie (sviluppo personale e familiare, capitale sociale), il giusto riconoscimento del ruolo della donna (pari opportunità).
Questi orientamenti costituzionali sono obsoleti, sono vecchi, sono superati? Io penso di no.
I cambiamenti in atto nella società italiana, europea e mondiale, sembrano rafforzare questi orientamenti, dopo una lunga stagione durata circa 20 anni in cui il lavoro e la sua relazione con la realizzazione della persona e delle relazioni di quest’ultima nella famiglia erano state considerate abbondantemente superate.
Il piano dell’analisi e degli interventi, tuttavia, non può più essere locale o nazionale, ma europeo e mondiale.
 
2. Quali sono i cambiamenti di fondo?
Un cambiamento epocale è stato il fenomeno della globalizzazione.
In modo molto sintetico, si può dire che la globalizzazione si è realizzata velocemente in alcuni ambiti mentre è stata ritardata in altri.
A) E’ stata veloce nella diffusione degli strumenti finanziari, favoriti dallo sviluppo delle tecnologie dell’informazione, internet, ecc. : si sono costituiti grandi gruppi bancari mondiali capaci di spostare ingenti risorse finanziarie da un paese all’altro, da un giorno all’altro, da una impresa all’altra; questo fenomeno che cercava di risolvere un problema importante quale la diversificazione e distribuzione del rischio del finanziamento delle attività economiche, è divenuto perverso moltiplicando per 12-13 volte il valore di una operazione connessa con attività reale.
B) La globalizzazione è stata veloce nel commercio. Il commercio internazionale, con un più lento incremento delle regole, è cresciuto in modo notevole negli ultimi venti anni, tanto che oggi rappresenta circa 1/3 del valore del reddito prodotto globalmente. Questo fenomeno ha avuto effetti positivi sui paesi in via di sviluppo, sembra meno per quelli ad elevata povertà (circa 1 miliardo di persone), riducendo la povertà, ma aumentando le disuguaglianze.
C) La globalizzazione è stata veloce nella diffusione delle opportunità di lavoro, molto meno per quanta riguarda i diritti, le tutele, la dignità, la libertà delle persone. La globalizzazione, con la mobilità e la trasformazione delle imprese (che sono diventate imprese transnazionali), ha portato la produzione dove il lavoro poteva essere pagato poco, senza tutele, senza dignità, senza prospettiva, staccato/diviso dalla persona. Questo ha portato sulla ribalta mondiale circa 1 miliardo e mezzo di lavoratori. Questi, da un lato sono hanno potuto avere benefici connessi con un salario, con possibili opportunità di sviluppo, con qualche prospettiva di uscire dalla condizione di estrema povertà, dall’altra sono stati utilizzati per competere con il mezzo miliardo di lavoratori del mondo occidentale . Tale competizione ha portato a due conseguenze:
• l’abbassamento delle dinamiche salariali e delle tutele;
• la richiesta pressante di introduzione di massicce dosi di deregolamentazione della tutela del lavoro e di flessibilità
D) La globalizzazione è stata orientata a ridurre i costi di produzione e delle tutele ambientali e di sicurezza del lavoro, in favore di maggiori profitti (ampliando la quota di “profitti superflui”, come si esprime Papa Paolo VI, nella celebre enciclica “Populorum Progressio” del 1967) e delle rendite finanziarie a scapito del lavoro introducendo e diffondendo a scala planetaria un nuovo modello di produzione:
produrre i beni su domanda (flessibilità della produzione);
produrre con il metodo del “just in time”.
Questo ha portato a riconsiderare il lavoro come una merce:
• si richiede lavoro quando c’è domanda;
• si fa lavorare giusto per il periodo che serve a produrre quel bene.
E) La globalizzazione dei diritti, delle tutele, di una vita dignitosa per sé e la famiglia, della sicurezza sul lavoro, della libertà personale e familiare, è stata fortemente ostacolata dalle grandi lobbies internazionali delle imprese e delle forze che si ispirano ad una cultura liberista: il mercato da solo è sufficiente a regolare i rapporti economici,di lavoro, sociali e familiari, le interferenze causano solo danni.
F) La crisi attuale, passata dalla finanza (delle banche globali americane ed europee), alla realtà dell’economia reale fatta di imprese e di lavoratori, al sistema sociale introducendo incertezze, mancanza/distruzione della fiducia (l’olio che fa funzionare la società e l’economia di mercato), sta gradualmente cambiando alcuni connotati di riferimento:
• il Fondo Monetario Internazionale prevede per il 2009 una diminuzione di circa il 3% degli scambi mondiali, la prima caduta del commercio internazionale dopo quello del 1982;
• la necessità di modificare in modo strutturale i gravi e fondamentali squilibri tra economia in surplus e quelle in deficit;
• elevata riduzione della ricchezza mondiale: si stima che tra il 2008 ed il 2009 si verifichi una riduzione della ricchezza di circa 25-30 mila miliardi di dollari (circa il 50%-60% del prodotto mondiale in un anno;
• infine, vi è la crescente consapevolezza che il mondo occidentale ha vissuto per 20-30 anni al di sopra dei suoi mezzi, e si comincia a ragionare come ritornare a standard meno opulenti creati artificialmente a debito.
 
3. Il lavoro
La situazione attuale del fenomeno inerente il lavoro ed il mercato del lavoro viene definita con termini “fluidi”: flessibilità, precarietà, mutamento, creatività, differenziazione, opportunità, incertezza, tensione continua alla ricerca di nuove posizioni, crisi.
Si può distinguere:
• una flessibilità dell’occupazione: variazione temporanea della quantità di lavoro utilizzato;
• una flessibilità delle prestazioni: variazione dei contenuti del lavoro, si tra diverse imprese sia all’interno della stessa impresa;
In genere ci si riferisce soprattutto alla prima, meno attenzione è rivolta alla seconda.
Le riforme degli ultimi anni hanno facilitato l’accesso al mercato del lavoro dei giovani e infatti si riduce il tasso di disoccupazione giovanile.
Contestualmente, però, hanno accresciuto le situazioni di flessibilità, che nelle aree più svantaggiate, e per le fasce più deboli della popolazione (giovani, donne, persone con diverse situazioni di disagio economico e sociale) si sono trasformate in condizioni di precarietà.
Alcuni studiosi mettono in dubbio la relazione: aumento della flessibilità , aumento dell’occupazione/ o aumento del numero di ore di lavoro effettive procapite, dipende anche da ciò che misuriamo e come misuriamo .
La complessità del mercato del lavoro può essere sinteticamente illustrata dal seguente schema:
Lavori protetti Lavori non protetti
stabilità Pubblica Amministrazione;
Altri servizi pubblici;
Servizi non esposti alla concorrenza
Assunti a tempo indeterminato nelle grandi imprese;
Persone disabili assunte; Persone con titoli di studio qualificati
Persone con esperienze lavorative di medio-alte opportunità
Persone con famiglie con reddito medio-alto
Presenza fitta di imprese nel territorio;
servizi di collocamento più efficienti ed efficaci;
 
precarietà Imprese che esportano;
servizi market oriented
agroalimentare
assunti anche a tempo indeterminato nelle micro e piccole imprese;
assunti a tempo determinato
Persone con titoli di studio scarsamente qualificati per il mercato;
Persone con esperienze lavorative di medio-basse opportunità;
persone con famiglie con reddito medio-basse;
scarsa presenza di imprese sul territorio;
servizi di collocamento meno efficienti ed efficaci
Il lavoro sommerso è un altro indicatore sensibile della precarietà, oltre che della legalità, e della tutela dei diritti del lavoro. Circa un quinto del lavoro in Puglia è irregolare, almeno fino al 2005.
Sono state varate delle misure in Puglia, che sembrano aver regolarizzato “lavoro in nero”, misurato indirettamente dagli incrementi sostenuti del mercato del lavoro nel 2006 e 2007.
 
Inoltre, si può osservare una correlazione negativa tra andamento dell’occupazione femminile e lavoro irregolare. Si tenga conto che oltre i due terzi del lavoro irregolare si concentra nei servizi, in cui c’è un elevato tasso di impiego delle donne.
 
La complessità dei mutamenti del mercato del lavoro può essere evidenziato seguendo il percorso di diverse tipologie di soggetti, che ne evidenziano le segmentazioni.
Inoltre, una recente ricerca ha evidenziato che a parità di altre condizioni, la probabilità di avere un lavoro irregolare è più elevato tra le donne.
Disoccupazione implicita
In Puglia le persone in cerca di occupazione ammontano a circa 161 mila , poco meno della metà sono donne.
Se introduciamo la componente implicita data da coloro che pur appartenendo alle non forze di lavoro, dichiarano di cercare lavoro non attivamente e di coloro che non cercano lavoro ma sono disponibili a lavorare, la disoccupazione implicita raggiunge 503 mila persone, con un tasso del 28%.
Donne e mercato del lavoro
oltre ad un tasso di occupazione basso (30% con -16,6 punti rispetto al dato nazionale),
la fascia in cui vi è un divario superiore ai 20 punti è quella 35-55 anni (si raggiunge il picco di – 25 punti per la fascia di età 35-44 anni);
il tasso di inattività femminile per le donne in età lavorativa è del 64,5% nel 2007 (49,3% a livello nazionale);
La maggiore differenza con il dato medio nazionale è lo scoraggiamento (circa 15% del totale, mentre per i motivi familiari si ha una incidenza simile con il resto del paese.)
Lavoratori Anziani
Il tasso di inattività per la classe di età 55-64 è in Puglia l’86%, mentre per la classe di età 45-54 è del 38%. Le principali motivazioni sono: scoraggiamento, dotato di pensione di anzianità o di vecchiaia, non interesse al lavoro.
Se aggiungiamo le persone in cerca di occupazione tale tasso diventa 87% per il e 41% per il secondo.
Lavoro a termine
In Puglia l’occupazione a tempo parziale è pari a 135 mila nel 2007 (10,5% del totale occupazione) di cui 70% donne, e per l’81% concentrato nei servizi.
Su 100 lavoratori a termine nel 2006, il 71 si trovano nella stessa condizione, 16 hanno trovato un’occupazione stabile, 13 si trovano ad essere disoccupati.
Inoltre, se la quota dei contratti a termine ed occasionali è maggiore nel Centro-Nord (55,6%) rispetto al Mezzogiorno (33,7%) per i giovani 15-19 anni, è maggiore al Sud per le classi di età successive
Prendendo in considerazione un gruppo qualificato di persone, i laureati nel 2004, si osserva la seguente situazione nel 2007
 
 
Laurea lavorano Lavoro continuato
Puglia
Laurea triennale 68,6 35,6
Laurea specialistica 59,8 43,8
Nord
Laurea triennale 75,9 54,9
Laurea specialistica 83,4 66,3
 
Inoltre, recenti ricerche evidenziano come:
• un basso livello di istruzione aumenta in misura apprezzabile la probabilità di svolgere un lavoro irregolare;
• l’aver conseguito una laurea più che dimezza tale probabilità, sia per gli uomini che per le donne, rispetto all’aver terminato solo la scuola dell’obbligo.
Disabilità
I disabili totali (dati di stock) iscritti al 31 dicembre 2007 in Puglia ammontano a 69.144 (9% totale nazionale), di cui 34. 347 donne (49,7%).
Le nuove iscrizioni nel corso del 2007 sono state 8.317 (8,3% nazionale).
Gli avviati sono stati 1.147 (di cui solo 308 donne).
Il tasso di avviamento è stato circa il 13,8%, 14,1 a livello di mezzogiorno e 31,4 a livello nazionale.
Oltre la metà degli avviamenti è avvenuta per richiesta nominativa.
Immigrazione
Si stimano in Puglia circa 70.000 stranieri.
Il tasso di occupazione nel mezzogiorno è stimato in 61%, il tasso di disoccupazione intorno all’11% e circa il 7% svolge lavoro autonomo e di impresa.
Povertà e famiglie
Nel Mezzogiorno il 20% delle persone povere ha una occupazione dipendente, (per gli operai vi è una incidenza 27,5%) nel 2007.
L’incidenza maggiore della povertà relativa è per le persone in cerca di occupazione (38,15%).
Con riferimento alle famiglie, è povero il 38% delle famiglie con a capo una persona in cerca di lavoro.
La situazione più difficile è quella delle famiglie in cui non vi sono occupati né ritirati dal lavoro (il 48,5% è povera) , si può stimare una cifra nettamente più elevata per il mezzogiorno.
Il disagio sociale ed economico assume una forte rilevanza anche in presenza di persone occupate in famiglia con due o più figli.
“In tutte le situazioni considerate si tratta di una povertà legata alla difficoltà ad accedere al mercato del lavoro, in cui la presenza di occupati (e quindi di redditi da lavoro) e di ritirati dal lavoro (e quindi di redditi da pensione) non è sufficiente ad eliminare il forte disagio dovuto alla presenza di numerosi componenti a carico” (pag. 6)
Questi termini “fluidi” si confrontano con le situazioni personali di ricerca di sicurezza per l’oggi e per il futuro, di ricerca della felicità (in economia viene tradotto in Benessere economico e sociale), di riscoperta delle radici culturali ed identitari, di riconoscibilità personale nel contesto sociale ed economico.
 
4. Che fare?
Sul che fare non si possono non richiamare brevemente alcuni punti dell’insegnamento sociale della Chiesa (Cfr. anche Chiesa e lavoratori nel cambiamento – nota Pastorale della CEI, 1987):
• il primato dell’uomo su ogni realtà sociale, cioè anche il lavoro non può essere pensato e ordinato se non in riferimento concreto alle persone che vivono in un determinato luogo;
• la promozione integrale dell’uomo, cioè non è perseguibile un progetto di civiltà e di sviluppo che penalizzi categorie di persone, gruppi, territori.
Pur con tutti i dubbi scientifici evidenziati, parafrasando la famosa battuta di J.M. Keynes, per paura di dire cose “precisamente sbagliate”, si esita a dire cose “apparentemente giuste”, mi permetto di indicare qualche elemento di riflessione.
Le soluzioni non sono semplici, poiché si ha che fare con fenomeni, situazioni e condizioni di natura multidimensionali, che coinvolgono anche convinzioni etiche.
Attualmente si possono identificare due posizioni culturali che portano a due modelli di analisi e di politiche contrastanti.
Un primo modello, ancora minoritario è “contro la flessibilità”
Recentemente è stato pubblicato un libro intitolato “Contro i giovani” che mette in luce:
• quanto sia pericolosa la convinzione che le generazioni si succedono e non si sovrappongono, convinzione forse realistica fino a 20 anni fa, ma non più oggi, in cui con l’allungamento della speranza di vita, si rischia sempre più di frequente di andare contemporaneamente dal bisnonno al pronipote ,;
• che i genitori italiani sono molto generosi con i propri figli ma egoisti con i figli degli altri;
• il pallino delle decisioni a favore o contro i giovani e nelle mani degli attuali quarantenni e cinquantenni (sia sotto il profilo politico che economico e produttivo).
Altri studiosi mettono in risalto la necessità di superare totalmente la flessibilità sul mercato del lavoro, come elemento di fondo e collegarlo non alle esigenze delle imprese ma del lavoratore.
Questo percorso si basa sulla considerazione che il lavoro non è una merce, ma un importante bene relazionale della persona (in termini di dignità, libertà, di considerazione di sé, di prospettive di sviluppo e di vita buona) e della società, in primo luogo per la famiglia costituita (capitale sociale familiare e comunitario).
La flessibilità genera precarietà, anche quando si sviluppano strumenti per la sicurezza del reddito del lavoro temporaneamente non occupato. Perché è la precarietà in sé che è negativa per la persona.
Etimologicamente, infatti, la parola precario significa “qualcosa ottenuta con preghiera”, che si esercita con permissione, per tolleranza altrui; che non dura sempre, ma quanto vuole il concedente.
Per questo modello, una soluzione credibile è estendere a livello mondiale il diritto del lavoro, la sua tutela, la sua sicurezza, uno spostamento verso l’alto del punto di equilibrio internazionale del salario dei lavoratori, piuttosto che verso il basso.
Inoltre, recuperare il concetto che il lavoro non è una merce e che quindi non può essere separato dalla persona, reso oggettivo rispetto alla persona.
Un secondo modello, portato avanti da grandi agenzie internazionali (FMI, OCSE), ma da alcuni anni , anche dalla Commissione Europea, cui si adegua anche l’Italia vede l’impegno a favorire la flessibilità ma tutelando la sicurezza del lavoratore, interviene a valle del lavoro
Questo percorso viene chiamato, con un termine molto brutto, “Flexicurity”: flessibilità nelle posizioni lavorative, sicurezza nelle condizioni socio-economiche.
La costruzione di un percorso lavorativo per i diversi soggetti che coniughi la flessibilità in entrata e in uscita e la sicurezza della stabilità di condizioni socio-economiche dignitose richiede, in primo luogo, una riforma delle politiche passive del lavoro (sostegno al reddito, sussidi oltre la soglia della povertà, ecc.).
E’ evidente che questa azione richiede una riconversione massiccia della spesa pubblica, attualmente concentrata quasi interamente su pensioni e sanità, verso tipologie di sostegno dei redditi nel mercato del lavoro flessibile: garanzie economiche per chi ha un lavoro occasionale, tanti lavori a termine, le partite IVA che si configurano come veri e propri lavori subordinati, i lavori a tempo indeterminato ma a tempo parziale.
In secondo luogo, questa complessità richiede politiche attive del lavoro diversificate, risorse finanziarie adeguate, promozione di iniziative a forte contenuto di sussidiarietà e di solidarietà.
Ormai si parla di politiche di Welfare to Work, basate su un mix di sostegni al reddito, qualità dei servizi, rete di soggetti sociali di affiancamento /accompagnamento /inserimento lavorativo. In proposito una recente risoluzione del Parlamento Europeo sulla promozione e l’inclusione sociale e la lotta contro la povertà, inclusa la povertà infantile (Aprile 2008) :
o ritiene che le politiche atte a far sì che “valga la pena di lavorare” (principio del making work pay) debbano affrontare il problema della “trappola della povertà” del basso salario e del ciclo di basso salario o di assenza di salario (low-pay/no-pay) che si produce nel segmento più basso del mercato del lavoro, in cui gli impieghi poco sicuri, mal pagati, di bassa qualità e produttività si alternano con la disoccupazione e/o l’inattività; (p.15)
o avalla una politica attiva per il mercato del lavoro deve promuovere il good work e la mobilità sociale ascendente ed aprire la strada verso un normale impiego retribuito e sicuro sul piano giuridico, con una protezione sociale adeguata e con condizioni normative e retributive dignitose; (p17)
o ritiene che debbano essere assicurati servizi di qualità e garantirne l’accesso alle categorie vulnerabili e svantaggiate
o sostiene politiche che consentano di sradicare la povertà infantile
 
5. La Governance multilivello per le politiche del lavoro.
Cosa significa questo vocabolo di lingua inglese? perché viene spesso utilizzato?.
Il termine significa “individuare dei meccanismi istituzionali e normativi per garantire il governo dei territori e la soluzione condivisa dalla maggior parte dei diversi soggetti coinvolti”.
Questa definizione implica da un lato una pluralità di soggetti istituzionali, soggetti rappresentativi sul piano sociale ed economico con le loro competenze e le loro autonomie di competenza e decisionali, dall’altro problemi comuni da affrontare rispetto ai quali è necessario individuare un processo di convergenza consensuale nel percorso decisionale per risolverli: un processo di natura cooperativo e fiduciario tra soggetti autonomi e con competenze diverse
Questi percorsi si basano ormai su “governance multi vello” nel processo decisionale di formazione delle politiche, delle risorse, delle azioni e delle realizzazioni, che, tuttavia, scontano “costi di transazione alti, non sempre con risultati a buon fine, ma necessari e da consolidare per ridurre costi e dare maggiore efficienza ed efficacia” ; si va:
• dalla governance a livello mondiale, questo può avvenire o tra organismi sovra statuali internazionali: ONU, Word Trade Organization (WTO), OCSE, G8, G20, Global Forum, ecc.; o tra network internazionali non statuali: Saskia Sassen sostiene nelle sue innovative ricerche che vi è una terza dimensione tra il globale ed il nazionale e sono quegli “assemblaggi globali parziali e spesso altamente specializzati di frammenti di territorio, autorità e diritti un tempo saldamente in mano ai quadri istituzionali nazionali” ;
• alla governance di aree geopolitiche: Unione Europea, Asia, Centro America, America Latina;
• alla governance nazionale-locale.
Sulla base del principio di sussidiarietà e solidarietà.
 
6. Alcune domande
Come valutate il potenziale rischio conflittuale tra stabilità del lavoro e flessibilità in ingresso ed uscita nel mercato del lavoro? E’ più opportuno garantire la sicurezza del reddito delle persone temporaneamente non occupate (e quale livello), o garantire la stabilità del lavoro.
E’ realistico immaginare un potenziale conflitto tra giovani generazioni al primo ingresso sul mercato e di persone che allungano temporalmente la permanenza sul mercato del lavoro?
Quali rischi reali esistono di un conflitto di interessi tra forza lavoro immigrata e forza lavoro locale?
Un altro esempio che intercetta l’attuale momento di forte crisi, anzitutto finanziaria e di fiducia, e poi dell’economia reale, riguarda il seguente punto: è necessario tenere in piedi situazioni che non sono più vitali o favorire processi di ristrutturazione che potranno ridare slancio all’impresa ed ai settori produttivi in crisi?
Le imprese muoiono, Schumpeter parlava del processo di distruzione creatrice, per creare innovazione, nuovi cicli economici, nuove opportunità.
E’ evidente che in questo processo ci sono costi sociali nell’ipotesi di robuste ristrutturazioni di realtà produttive in grave crisi.
Nell’ipotesi di mantenere l’esistente, caratterizzato da gravi condizioni di crisi, i costi sono sia sociali, sia di sostenibilità economica nel tempo del tessuto produttivo non risanato.
La questione è come si dà sicurezza economica e sociale nel periodo di transizione e come si includono le persone che sono fuoriuscite dai processi produttivi, magari ad un’età intorno ai 50 anni. La soluzione richiede di modificare grandi interessi economici e sociali:
• politiche macroeconomiche sotto il profilo fiscale, di riforma e riallocazione della spesa pubblica, riforma delle relazioni industriali e contrattuali (ipotesi del contratto unico prevede tre fasi: prova, inserimento, stabilità);
• politiche microeconomiche a livello locale e dei diversi territori, con interventi specifici di natura sussidiaria e solidaristici.
Infine, un ultimo esempio riguarda la decisione, soprattutto per le giovani generazioni qualificate, di emigrare e tagliare possibili relazioni con il proprio territorio, rimanere nel proprio territorio o emigrare ma non tagliare definitivamente la possibilità di relazioni con il proprio territorio.
La risorsa umana (capitale umano) formata, come produce capitale sociale nella realtà territoriale?
Quando la risorsa umana formata decide di emigrare, quale impatto si produce nella formazione dello stock del capitale sociale locale?
La questione di fondo, tuttavia, non è tanto se la risorsa umana decide di emigrare, quanto la scarsa attrattività del territorio per le chance di vita delle risorse umane esterne, per cui il saldo è sempre negativo.
Inoltre, per i territori poco attrattivi si può formare un saldo positivo tra popolazione in uscita e quella in entrata, ma mentre quella che esce è giovane, istruita e potenzialmente capace di produrre innovazione e nuove opportunità, quella in entrata è spesso anziana, che vive della rendita di una pensione ed è scarsamente interessata allo sviluppo.