21 Novembre 2012
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Progetto Policoro, Il lavoro come medicina

“Dovrebbero sorgere delle industrie, delle aziende i cui utili andrebbero messi liberamente in comune con lo stesso scopo della comunità cristiana: prima di tutto per aiutare quelli che sono nel bisogno, offrire loro lavoro, fare in modo che non ci sia alcun indigente”. Era questo il sogno con cui Chiara Lubich lanciava il concetto innovativo di “Economia di comunione”. Parole che potrebbero suonare utopistiche, tanto più oggi con i colpi inferti dalla crisi economica, l’aumento dei livelli di disoccupazione, la crescita del malessere sociale e delle nuove povertà. Eppure si fa largo anche nelle difficoltà vissute dall’economia contemporanea una cultura d’impresa inclusiva e solidale, attenta non solo al profitto, ma alle persone che vi lavorano e alle relazioni che vi s’instaurano. Il Progetto Policoro della diocesi di Rimini, il 10 novembre, ha portato alcune di queste esperienze tra le mura del Polo universitario riminese. Al centro della giornata formativa, rivolta a studenti, laureati e operatori, “la dignità del lavoro e l’attenzione alla persona nella sua integrità”, come spiega la responsabile del progetto, Isabel Milazzo. Due concetti quanto mai basilari in quelle cooperative e piccole imprese che hanno tra le varie mission l’inclusione di lavoratori svantaggiati e diversamente abili.

 
 
Oltre il profitto. Un caso significativo nello sviluppo di un’economia inclusiva e solidale è quello del Polo Lionello Bonfanti di Loppiano (Incisa Val d’Arno), la prima cittadella internazionale dei Focolari. Un polo imprenditoriale che ospita oltre 20 imprese tra negozi, laboratori, aziende di produzione e di servizi e studi professionali di consulenza e formazione. Sviluppato su 10 mila metri quadrati, conta 5.700 soci e un capitale sociale di 6 milioni di euro. Si tratta del primo polo europeo e punto di convergenza per le oltre 200 aziende italiane che aderiscono all’“Economia di comunione”. “L’obiettivo – sottolinea Paolo Maroncelli, del Polo di Loppiano – è di contribuire a realizzare, a livello mondiale, una società più equa, senza indigenti”. Se questo è il fine, i mezzi sono rappresentati dal coinvolgimento dei dipendenti in tutti i progetti imprenditoriali e in tutte le attività, dalla concezione di un profitto che non deve solo essere personale, ma condiviso in una logica – appunto – di comunione. Tra gli altri principi, il rispetto della giustizia, della legalità e del dipendente a livello umano e contrattuale. Il Polo Lionello Bonfanti è uno dei nove poli di” Economia di comunione” attivi oggi in tutto il mondo. Un’esperienza che, conclude Maroncelli, “non coinvolge solo il mondo dell’impresa ma anche quello della scuola, formazione e università”.
 
Nuovi orizzonti. Quella del lavoro come cura è una convinzione che da anni motiva Carlo Urbinati e la sua New Horizon, cooperativa riminese di cui oltre la metà dei 45 dipendenti è rappresentata da persone con problemi sociali e psichici. Tutto è iniziato negli anni Novanta quando Urbinati, insegnante, ha seguito un corso di formazione presso l’Enaip di Rimini. Qui si è profilata per la prima volta la possibilità di diventare educatore di ragazzi disabili e, in seguito, di creare una vera e propria impresa. “Oggi la cosa più bella – racconta – è guardare i ragazzi mentre lavorano e constatare i loro progressi. Il lavoro è per loro la migliore medicina: prima se ne stavano in casa, solo a prendere farmaci, oggi lavorano e hanno una vita normale”. Alle mansioni che hanno fatto la storia della cooperativa (dalla trascrizione e stampa degli atti dei consigli comunali locali alla gestione della posta per enti pubblici e privati) si è aggiunta da poco una nuova sfida grazie alla collaborazione con la stilista riminese Rita Bellentani, ideatrice del marchio di borse “Ri_ama bags”. “Abbiamo acquistato il marchio e le borse vengono prodotte interamente dai nostri ragazzi”, spiega Urbinati. Non solo: il 24 novembre aprirà in centro a Rimini un negozio nel quale i sarti di New Horizon potranno vendere direttamente le creazioni.
 
Ali e sostegno. È nata originariamente come un’esperienza di volontariato anche la cooperativa sociale “Ali e Radici” di Viserba, che offre sia servizi educativi sia opportunità d’inserimento lavorativo per persone svantaggiate, con particolare attenzione al contenimento del disagio giovanile nel territorio di Rimini Nord. “L’idea – spiega Valentina Ferrini – è nata da un gruppo parrocchiale di giovani mossi dal desiderio di sposare un progetto comune per il bene sociale in ambito educativo”. Oltre a Valentina, che aveva già alle spalle una formazione di educatore, anche gli altri soci hanno seguito lo stesso percorso iscrivendosi all’Università, alla facoltà di Scienze della formazione, e conseguendo la qualifica di educatore sociale o culturale. Nel 2010 è stata rilevata così una vecchia cooperativa di Morciano, “Rami e Radici”, il cui nome è poi confluito in “Ali e Radici”. Una modifica nel nome come pure nel significato: “Il nostro obiettivo – prosegue Ferrini – è far volare questi ragazzi ma anche sostenerli nel decollo della vita”. Oggi questa realtà conta 18 soci, di cui 15 donne e 13 sotto i trent’anni, e impiega tre persone “diversamente abili”.
 
a cura di Alessandra Leardini – SIR – mercoledì 14 Novembre 2012